Prodotti tipici del Gargano

Prodotti tipici del Gargano

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In tutto il Gargano numerosi sono i prodotti tipici freschi come pomodori per insalata, pomodorini locali, asparagi e molte altre orticole che attraverso un’accurata e sapiente tecnica vengono destinate alla preparazione di conserve e sottoli : pomodori secchi, melanzane grigliate, peperoni, carciofini, lampascioni lessati, arrostiti e fritti, e la ” composta” fatta con verdure miste tagliate a dadini.

Piatti ricchi e gustosi ma semplici e genuini. Ingrediente fondamentale è il pane, in genere sotto forma di bruschetta, condito con olio d’oliva, pomodori, cipolla ed origano.
Gli antipasti sono a base di frutti di mare.
Le verdure sono la base per gustose minestre.
Il pancotto (pane cotto) accompagna le minestre condito con olio di oliva extravergine ed accompagnato da verdure selvatiche ed ortaggi, come rucola e patate. Gustosissime sono anche la minestra di cicorie selvatiche, condite con purea di fave, e la minestra maritata a base di scarola, cicoria e sedano, cotti in brodo di carne. A base di verdure è anche la tiella, composta da patate arricchite con pecorino e pangrattato.
Tra i primi piatti i cecatelli, orecchiette o strascinate, pasta fatta a mano, conditi con pomodoro fresco o con finocchietto, patate e rucola. Speciale anche i primi a base di legumi, come la pasta e fagioli.
Tra i secondi ci sono le salsicce, i capocolli, le soppressate e i torcinelli.
Tradizionali del menu pasquale sono il beneditte, a base di uova sode, salame, formaggio ed arance affettate, ed i cardoncelli con agnello e uova.
Immancabile su ogni mensa, infine, è il prelibatissimo olio d’oliva extravergine prodotto da olivicoltori locali.

Elenco prodotti tipici del Gargano:

Agnello del Gargano , Amaro del Gargano , Ambrosia di arance , Ambrosia di limone , Arancia Bionda del Gargano , Arancino ,Asparago selvatico, Cacio , Caciocavallo garganico , Caciocavallo Podolico , Cacioricotta di capra garganica , Calzoncelli , Calzone di Ischitella , Capperi in salamoia , Capperi sott’aceto , Capperi sott’olio , Capretto del Gargano , Caprino , Cartellate , Cotto di fico , Farinella , Fave di Carpino , Lampascioni sott’olio , Latte di mandorla , Limoncello , Limone del Gargano (femminiello) , Liquore di alloro , Liquore di fico d’india , Liquore di melograno , Liquore di mirto , Mandorle atterrate , Marmellata di arancio e limone , Marmellata di fichi , Melanzane sott’olio , Mostaccioli , Mozzarella o fior di latte , Provola di bufala, Muscisca , Nocino, Olio extra vergine Dop Dauno sottozona Gargano , Olive cazzate o schiacciate , Orecchiette , Ostie ripiene , Pane di Monte Sant’Angelo , Pane garganico , Pecorino , Pecorino foggiano , Pettole Poperate , Ricotta , Ricotta di bufala, Scaldatelli , Scamorza , Taralli , Taralli neri con vincotto , Troccoli , Vaccino

CANESTRATO PUGLIESE
Dal latte di pecora il canestrato pugliese : formaggio pecorino della tradizione pastorizia pugliese e del Gargano.
Le tradizioni casearie racchiudono storie di uomini, di transiti e di pascoli, ma anche di frutti dell’ingegno che toccano il cuore, perche’ ricordano la capacita’ di strappare risorse alle terre difficili.

Alla base del Formaggio pecorino Canestrato pugliese ci sono storie di transumanza : una volta il latte lo filtravano nella federa del cuscino.
Il canestrato Pugliese e’ un formaggio a pasta dura non cotta, ottenuto solo da latte intero di pecora di razza Gentile di Puglia , le cui origini genealogiche provengono dalla razza merinos.
Il suo nome deriva dai canestri di giunco pugliese in cui lo si fa stagionare.
Il vero Canestrato pugliese si produce da dicembre a maggio, periodo legato alla transumeanza delle greggi dagli Abruzzi alla Piana del Tavoliere delle Puglie. La lavorazione del canestrato Pugliese deriva dalla tradizione casearia meridionale : una lavorazione piuttosto lunga e molto variabile, secondo le dimensioni delle forme ( che vanno dai 7 ai 10 Kg.).

Prodotti del Gargano per eccellenza sono i TARALLI, realizzati in mille modi ( con l’anice, con l’uovo o con il vincotto), mentre i gustosi scaldatielli vengono aromizzati con semi di finocchio.

Molto apprezzato e’ il pane tipico di grano duro del Gargano, preparato in grosse pagnotte ( da 3-5- kg.) o anche in panette impastate con lievito naturale.

Questo pane e’ ottimo per preparare gustose bruschette condite con pomodoro, olio extravergine di oliva , origano, aglio crudo e rucola, o nel caso di pane raffermo, per preparare “l’acquasale” ( ammorbidito con acqua e condito con sale, pomodoro, origano, cipolla ed olio) o il classico “pancotto” (zuppa con verdure locali).

Rinomata e’ anche la pasta fresca preparata secondo le tradizioni locali: nel Gargano viene realizzata quasi sempre con semola mista a farina di grano tenero, da cui si preparano gli “strascinatelli” se piccoli e “stragulacchiuni” se grandi e i troccoli ( capelli di demonio).

E’ possibile gustare orecchiette, cavatelli, cicatelli, pasta alla chitarra o tagliolini e fusilli preparati con cura nelle botteghe artigiane e tradizionalmente condite con pomodoro fresco, ricotta dura, funghi e verdure o con ragu’ di carne ovina, caprina e bovina e aggiunta di formaggio pecorino locale.

Le ciangularie tipiche del Gargano

In dialetto,  sono le golosità, dolci locali che nascono da antiche ricette, tramandate da generazioni e hanno un unico segreto: sono fatti a mano con ingredienti genuini della tradizione mediterranea.

Pettole
Le pettole sono un prodotto tipico natalizio della provincia di Foggia.

Si ottengono impastando farina o semola con acqua, sale e lievito; dalla massa lievitata si ottengono pezzetti di diverse forme che si fanno soffriggere in olio extra vergine di oliva, dopodiché si condiscono con sale o zucchero.

Sono quindi una realizzazione a mano per un impasto morbido e gustoso, che viene, poi, fritto in olio bollente. La tradizione vuole che le pettole siano mangiate appena cotte, calde e fragranti. Infatti si dice che debbono essere assaporate friggendo/mangiando perché una volta raffreddate perdono gran parte del loro sapore.

Cartellate

Legate alle festività invernali, tipicamente natalizie, sono invece “le carteddate o cartellate”, nastri di sfoglia pizzicati con le dita e fritti, ricoperti di miele o vino cotto e cosparsi di zucchero a velo.

Le cartellate si preparano in due varianti: con vino cotto di fichi o di uva.
La loro preparazione necessita di molta cura e manualità per riuscire a prendere al meglio la loro forma di piccola coroncina dai bordi seghettati.

Ostie ripiene – ostia  “chjène”

E’ un ottimo croccante fatto di frutti di mandorle con miele.

Si abbrustoliscono i frutti delle mandorle in una teglia di rame, la “turtire”, poi si mettono in un tegame di terra cotta, la “tielle de crete” nel quale si versa il miele e si mescolano sei once di zucchero ed un pò di cannella.

Quindi si mette il tegame sul fuoco e con un cucchiaio di legno si mescola di continuo il tutto, in modo da non fare attaccare le mandorle al tegame. Nel frattempo si prepara delle ostia, di forma ovale, lunga quattordici o quindici centimetri e larga sette, la ferrète, oppure ostie tagliate a metà lungo l’altezza minore.

Quando il composto è pronto, aiutandosi con un cucchiaio di legno si dispongono le mandorle croccanti sull’ostia, allineandole con uno stecco “nu zippe”, fino a riempirla completamente, quindi si mette sopra un’altra ostia o ferrata.

Dopo un paio di ore, il tempo di farle asciugare e raffreddare e si può gustare la croccante ostia ripiena, tipica specialità montanara.

Poperati – pupurète
I poperati o “pupurète” sono grossi taralli che, secondo tradizione, venivano distribuiti durante le feste di nozze: sono preparati con farina di frumento tipo 0, zucchero, miele, vino cotto, strutto, cannella, chiodi di garofano, buccia di limone e di arancia grattugiate.

Si intride la farina con il miele ( in 5 kg di farina un kg di miele) con un pò di lievito, chiodi di garofano, cannella e quindi a poco a poco si aggiungono tutti gli altri ingredienti e si lavora il tutto sino ad ottenere un impasto omogeneo.

Si prende quindi una parte della pasta e si lavora in modo da ottenere una forma di cordone allungato dello spessore di tre o quattro centimetri e lungo circa sessanta. Formati nel cordone di pasta, dei rigonfiamenti detti comunemente “’ntacche”, quindi si sovrappongono le estremità del cordone per unirle e si tengono ferme con un chiodo di garofano, formando così una ciambella di circa 20 centimetri di diametro.

1^ Variante: Invece del miele si può mettere in 5 kg di farina un kg di zucchero, un pò di lievito, 35 grammi di cannella e buccia di arancia e limone grattugiati.

2^ Variante: In cinque kg di farina si possono mettere 600 gr. di miele e mezzo kg di zucchero, lievito, cannella e buccia di arancia e limone grattugiati.
Il fior di farina si può intridere anche col solo vino cotto.

I poperati si usavano sino a qualche anno fa quasi esclusivamente in occasione del carnevale, mentre adesso si possono acquistare in qualsiasi negozio e in qualsiasi periodo dell’anno.

In tempi ormai molto remoti, sia la cerimonia della promessa di matrimonio, sia quella dello sposalizio, venivano festeggiate in casa, per cui gli invitati potevano servirvi a sbafo di tutti i dolci che venivano loro offerti e alla fine della festa, ciascun invitato riceveva “na cocchje de puprète”, cioè due ciambelle che conserva in un ampio fazzoletto per portarli a casa.

“Li puprète” anticamente si preparavano per lo più di notte e durante la lavorazione della pasta le donne cantavano canzoni nuziali mentre gli uomini mangiavano, bevevano e scherzavano in segno di buon augurio agli sposi, “ a li zite”.

Durante la sera di carnevale le maschere che andavano a far visitava ai parenti o agli amici avevano spesso in regalo una certa quantità di “puprète” che infilavano al braccio destro. “”Puprète” è un nome del dialetto albanese e molto facilmente la sua origine risalirebbe al dominio degli “Scamdemberg” nel Gargano.

“Scaltatidde”
Dopo aver messo su un tagliere la quantità di fior di farina “sottile” voluta, si aggiungono 25 grammi di semi di finocchio selvatico per ogni chilo di farina usata e si mescola per bene.

scaldatill’: tipico prodotto pugliese

Quindi si dispone la farina in modo da formare un cerchio al cui interno si versano cinquanta grammi di olio, “doje musurèdde”, e acqua tiepida salata e si incomincia a impastare.

Dopo aver ben amalgamata la pasta la si lascia riposare, avvolta in una tovaglia per una mezz’oretta.

Indi si spiana la pasta, “ce resine”, e si allunga, si allunga, dandole la forma di un lungo cordone più o meno sottile col quale si forma una ciambella per lo più rotonda con o senza strisce che formano il diametro.

Si ottengono così delle ciambelle chiamate “ scaletatidde”.

Una volta terminato questo lavoro, si procede a lessarli “ce ’ntellèssene”, e, quando cominciano a galleggiare, si tolgono dall’ acqua bollente e si immergono nell’ acqua fredda per pochi secondi.

Quindi vengono messi ad asciugare e il giorno dopo vengono inviati al forno dal quale devono essere sfornati quando acquistano un bel colore dorato.

Tarallucci giulebbati – “taralluzze ‘ngeleppéte”

Su una spianatoia si posa la quantità di fior di farina desiderata, poi si forma una corona circolare e nel centro di essa si versano le uova frullate in un recipiente a parte, per stemperale per bene, quindici o sedici uova per ogni kg di fiore di farina e quindi si passa ad impastare.

L’impasto deve risultare ben amalgamato e lavorato, quindi lo si fraziona e si ricavano o delle piccole ciambelle che vengono incise con un coltello per tutta la loro lunghezza con un taglio di circa un centimetro di profondità o dei piccoli bastoncini che vengono incisi a loro volta con un coltello per tutta la loro lunghezza, poi, sia le ciambelle, sia i bastoncini vengono lessati.

Quindi vengono mandati al forno per la cottura.

Al ritorno vengono calati nel tegame contenente il giulebbe, preparato secondo questa ricetta: mezzo chilo di zucchero, duecento grammi di acqua e corteccia di limone grattugiato, fatto cuocere in modo che esso non deve essere nè eccessivamente liquido, nè eccessivamente denso, ma deve filare

I Calzoncelli
Dolci a base di farina di castagne, miele e cacao avvolti in una sottile sfoglia dolce divenuta croccante dopo il passaggio in olio bollente.

Ciambelle – “taralle all’ ove“
Su una spianatoia si posa la quantità di fior di farina desiderata, poi si forma una corona circolare e nel centro di essa si versano otto uova, 250 grammi di zucchero, cinquanta di lievito, che viene sciolto con una settantina di grammi d’ acqua calda per ogni chilo di farina.

Dopo aver sbattuto fortemente le uova con le mani, si incomincia ad impastare e si lavora il composto sino ad ottenere una pasta ben lavorata. Poi dopo averla suddivisa in pezzi più o meno uguali si stende fino ad ottenere un cordone spesso circa tre centimetri col quale si forma una ciambella.

Quest’ultima viene incisa con un coltello per tutta la sua lunghezza praticando un taglio di circa un centimetro di profondità, poi, con le forbici, si fanno “i pizzili”, cioè dei piccoli tagli, ogni tre o quattro centimetri lungo tutta la circonferenza.
Alla fine si lessano e il giorno dopo che si sono asciutti vengono portati al forno per essere infornati.

La pasta fatta in casa del Gargano
Innumerevoli i formati e i nomi per una pasta realizzata con semola di grano duro e acqua e il lavoro di mani esperte.
Arte diffusissima nel Gargano quella della pasta fatta in casa, soprattutto in campagna dove quasi in ogni famiglia c’è una donna che lavora a mano l’impasto di acqua e farina di grano duro, a volte mescolata con farina di grano tenero o di grano arso, ossia bruciato. I formati non si contano .

La forma viene ottenuta con abili movimenti delle dita mentre in altri casi è necessario un apposito attrezzo.

Cavatelli, strascinatitroccoliorecchiette e tanti altri formati.

Formati tradizionali come i troccoli e le orecchiette ai cinque colori (con tuorlo d’uovo, spinaci e nero di seppia), insieme a paste “speciali” come le variopinte (con colori naturali) lingue di suocera.

Negli anni passati i vitigni rappresentavano un’importante risorsa economica. Il piu’ pregiato dei vini del Gargano era il Moscato, servito alla tavola dei Borboni.

Il vino Macchiateli, il vino d’Aneli, il vino di Mastrociani, il Pampanone, il vino Nardobello e il vino rosso Neretto.

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